Il nostro calcio deve correre ai ripari. Il grido di allarme era già tale, ma si è diffuso ulteriormente con la pandemia e il rischio crollo è sotto gli occhi di tutti. Le parole chiave sono sostenibilità e salary cap, ovvero tetto dei salari. Non è la prima volta che si parla di questi termini, ma come scrive La Gazzetta Dello Sport, così non si può andare avanti. E l’eliminazione della Nazionale dal mondiale non ha certo migliorato le cose. Nel focus della rosea si evidenzia come in NBA (e nello sport americano) e nella Liga già si ricorra a queste misure, ma si tratta di un sistema ben consolidato. L’obiettivo, oltre che sul contenere i costi, era dare maggiore equilibrio alle varie franchigie: ogni sconfinamento ha un costo, con tanto di tassa. Il calcio spagnolo invece va in base ai bilanci: l’analisi delle risultanze dei club determina il budget utilizzabile, che non si può superare. La soglia viene dunque fissata dalla stessa Liga, per una solidità di sistema agganciando monte ingaggi e ricavi.
E in Italia? La FIGC ha denunciato come i costi siano cresciuti a dismisura anche in relazione alla crescita dei diritti TV e a quelli del costo del lavoro. Il tema di fondo si scontra con strutture che non sono la somma dei club o delle proprietà ma hanno una possibilità di incidere fortemente, circostanza su cui in Italia ci si è sempre scontrati. Bisognerà innanzitutto riconoscere un territorio che faccia a meno degli interessi dei singoli club. Il nuovo presidente di Lega Casini si dovrà esprimere anche sull’ormai famoso indice di liquidità. La Serie B, in questo senso, si è fin qui dotata di un codice di autoregolamentazione di alcuni vincoli, che ora sta diventando vera e propria norma federale. Il tetto, ad esempio, è calcolato al 70%. Ora si dovrà lavorare per trovare la giusta combinazione, anche se come sempre in Italia non sarà semplice.