Lo Spezia è pronto ad accogliere nel Golfo Daniel Maldini, figlio d’arte e attaccante di belle speranze del vivaio rossonero. Un’opportunità importante per il classe 2001, voglioso di rilanciarsi in una piazza che lavora bene con i giovani e che intende valorizzare al meglio le sue qualità. Nonostante la giovane età, il calciatore ha già alle spalle lo scudetto conquistato con il Milan, presenze in Champions League e pure un gol in Serie A, curiosamente proprio contro le Aquile al Picco nella scorsa stagione e alla prima da titolare. Per provare a conoscere meglio il suo profilo abbiamo intervistato in esclusiva il primo allenatore in rossonero di Maldini: Alessandro Lupi, oggi tecnico dell’Under 18 del Monza. Oltre all’attaccante, abbiamo parlato anche di altri temi.
Lei ha conosciuto un giovanissimo Maldini. Ci racconta che ragazzo è?
Ho incontrato Daniel negli Esordienti: era praticamente un bambino, tanto che giocavamo ancora a nove. Poi l’ho ritrovato negli Allievi del Milan, a circa 16 anni. La sua crescita è stata esponenziale, anche perché è sempre stato un ragazzino con grandi qualità tecniche e fisiche. Possiede capacità intuitive fuori dal comune: ora è maturato molto sviluppandosi e dotandosi di esplosività importante. Ha una tecnica davvero importante e penso che dalla prossima stagione potrebbe fare veramente bene. Gli faccio i complimenti, anche per me è bello vederlo arrivare a certi livelli, visto che con me ha vinto uno scudetto con l’U16 prima di farlo esordire in Primavera.
La destinazione Spezia è quella giusta per il suo processo di crescita? E, tra l’altro, dopo il primo gol alla prima da titolare al Picco il romanticismo non manca…
Penso proprio di sì. È una piazza importante, che sa lavorare con i giovani e potrebbe essere una consacrazione, la classica svolta nel suo percorso: ora è il momento in cui può davvero dimostrare le sue caratteristiche. Alcune volte il destino può dare dei segnali: non so se credere in queste cose, ma so per certo che il ragazzo è arrivato a quel momento in cui può trovare una certa continuità. Le qualità le ha, dipenderà da lui e dal suo approccio. E da un pizzico di fortuna, ovviamente.
Qual è secondo lei il suo ruolo ideale?
Dipende dal sistema di gioco, ma può fare la seconda punta, esterno nel 4-3-3, sotto punta, trequartista. Ha delle qualità importanti soprattutto in rifinitura e intuizione anticipata. Se prende continuità ed entusiasmo può fare davvero bene. Nel 3-5-2 di Gotti potrebbe essere ideale come sotto punta oppure una mezza punta offensiva in grado di inserirsi in avanti.
Il cognome Maldini è certamente ‘pesante’. Questo può in qualche modo dare pressione al ragazzo?
È chiaro che un nome del genere può condizionare, ma per come conosco io Daniel dico che ha un grande pregio: quello di subire poco le pressioni. Anche nel settore giovanile non ha mai avuto il problema di ‘sentire’ le partite importanti: quando va in campo è talmente sereno che non pensa a nulla ed è una dote importante. Per lui 10 spettatori o 80.000 non cambia: questo è un grande vantaggio a suo favore.
In cosa dovrebbe o potrebbe ancora migliorare?
Penso che il miglioramento sia legato all’avere la possibilità di conquistarsi il posto e trovare continuità. Tutto arriva in funzione di questo.
Che consiglio darebbe a Daniel Maldini?
Di essere sempre sereno come è sempre stato e di dare tutto quello che ha perché dimostrerà che sa essere un giocatore importante.
Ha seguito un po’ lo Spezia nell’ultima stagione? Il suo amico Thiago Motta ha fatto un buon lavoro centrando la salvezza.
È una piazza molto calda, è bello vedere l’attaccamento dei tifosi alla squadra. La società sta lavorando bene, lo ha fatto anche l’anno scorso con Motta. Ho fatto con lui il master UEFA, ha dimostrato di avere qualità e con il lavoro e le idee ha trovato un risultato importante come la salvezza in anticipo. Da parte di tutti è stato fatto un lavoro straordinario. Secondo me Thiago è un allenatore molto preparato, ci siamo spesso confrontati anche durante il percorso insieme. È il classico esempio in cui il lavoro paga: studia, si aggiorna, è curioso e gli permette di crescere costantemente e anche questo ha contribuito ad alzare il livello della squadra.
Oggi per lei c’è un presente da tecnico U18 del Monza. L’Italia non andrà al Mondiale e spesso si parla della rifondazione dei settori giovanili. Lei che idea si è fatto?
Io penso che ci sia molto da lavorare da parte di tutti: dirigenti, Federazione, allenatori. Il calcio, come tutte le aziende, è un settore in continua crescita. Non sono d’accordo quando si dice che non si inventa niente, bisogna aggiornarsi e crescere il più possibile, dando tutti gli strumenti possibili ai ragazzi. Tante nazioni insegnano in Europa: ci vuole il coraggio, ma anche la qualità degli insegnamenti deve essere alzata. Insegnare i ragazzi a giocare con personalità è fondamentale: ci vogliono tempo e pazienza, ma se si vuole fare un salto di qualità bisogna passare da questi fattori.
E anche da campionati giovanili più allenanti?
Il campionato Primavera ha alzato un po’ il livello con promozioni e retrocessioni. Io personalmente avrei puntato di più sulle squadre B, come fanno tanti altri Paesi, per alzare il livello dei ragazzi. La differenza, effettivamente, si vede tanto con i campionati degli adulti. Se dovessi farlo, proporrei un innalzamento step by step: per esempio l’U18 è stato troppo sottovalutato e ora sta prendendo piede, è fondamentale per la crescita dei ragazzi. Bisogna mettersi in testa che tutti gli anni di crescita sono cruciali per i ragazzi: ho voluto fortemente far parte proprio dell’U18 perché penso che sia molto importante. Dobbiamo lavorare tanto e cercare di avere la mente aperta, addetti ai lavori in primis. Dare i giusti strumenti ai giovani calciatori vuol dire prepararli a palcoscenici importanti. Solo così si può arrivare ad essere davvero competitivi.