Lo stadio, per molte società, ha rappresentato un punto di svolta e di crescita per raggiungere traguardi calcistici importanti. La Nazione di oggi affronta la questione stadio, visto che per lo Spezia la gara di sabato prossimo contro l’Atalanta dovrebbe essere l’ultima giocata a Cesena. Un contributo alla “spinosa” questione dello stadio (analizzata anche dal sindaco Peracchini), ci viene offerto proprio dalla città romagnola. Il Cesena ha raggiunto le vette del calcio che conta nella stagione 1967/’68 ottenendo una promozione in Serie B, proprio ai danni dei liguri. Da quel momento è iniziata una scalata importante e le storie dei due club hanno preso due strade diverse: negli ultimi 53 anni, sono stati 13 in A e 32 in B, partecipando anche alla Coppa Uefa. Mentre gli aquilotti hanno disputato 10 anni in B e uno soltanto in A.
La città ha sempre seguito l’esigenze della squadra adeguando lo Stadio per ben tre volte. Il comune ha voluto agevolare presidenti come Manuzzi (raggiunse la Serie A per la prima volta nel 1973) e Lugaresi. Insomma a Cesena hanno da sempre considerato importante dare alla città uno stadio moderno e capiente, perché può essere un veicolo per la promozione del territorio. A Spezia invece, è sempre stato il contrario. Il primo gioiello cesenate risale al 1988, approfittando dei fondi messi a disposizione per Italia ’90. Crearono un impianto all’inglese: spalti vicini al campo, copertura dell’impianto e tribuna nuova con ogni tipo di comfort. Spezia invece, non seppe approfittare di tale opportunità e il progetto di modernizzazione del Picco di Gregoretti rimase incompleto. Ora che gli aquilotti hanno raggiunto la massima serie, sarebbe un peccato non adeguare lo stadio. Senza un impianto all’altezza, infatti, è sempre più difficile fare il salto di qualità nel calcio che conta, come hanno fatto i romagnoli.